Verso i 3/4 anni vostro figlio potrebbe iniziare a farsi le prime domande sul tema della morte.
Spesso queste domande sono affrontate dai bambini in termini evasivi e a volte di rifiuto perché a quest’età la morte è vissuta come una assenza che provoca un sentimento di vuoto e di dolore, e non come una scomparsa definitiva. L’abbandono e la relativa paura sono sensazioni che il bambino a quest’età ha già sperimentato; infatti quando era più piccolo e vedeva la mamma allontanarsi nasceva in lui il timore che non sarebbe più ritornata, ma crescendo ha sperimentato e imparato che all’assenza delle persone care segue il loro ritorno e quindi continua a credere che questo avvenga anche per le persone che muoiono.
Il bambino si pone delle domande sul perché si muore e ascolta le risposte, ma gli riesce impossibile credere che una persona amata non torni più. Entra in campo, come schermo protettivo, anche il suo “pensiero magico” che gli dà l’illusione di modificare la realtà a suo piacimento.
L’approccio infantile difensivo non deve portare i genitori alla scelta di mentire al figlio su questo argomento delicato, pensando erroneamente che sia meglio nascondere gli episodi di morte che colpiscono la famiglia. Al contrario, è importante affrontare il tema con chiarezza, con parole delicate ed affettuose, calibrate sull’età dei bambini ma sincere nella loro essenza. La chiarezza eviterà che la mente del vostro bambino si popoli di fantasmi più angoscianti della realtà secondo noi sono da evitare frasi del tipo “Sta dormendo” “E’ partito per un viaggio”, che innescheranno una comprensibile paura nell’andare a dormire o fare viaggi o che qualcuno di caro possa, dormendo o partendo per un viaggio, morire o non tornare più).
La neuropsichiatra infantile Francoise Dolto suggeriva di rispondere in maniera elementare ed assertiva: «Si muore perché si vive».
Verso i 5/6 anni d’età la razionalità inizia a prevalere sulle illusioni infantili e quindi il bambino può comprendere che la morte è qualcosa di irrimediabile e definitivo. Di conseguenza la paura di morire diventa un sentimento più concreto, una spaventosa scoperta: questo evento può riguardare anche le persone che gli sono care, oltre a se stesso.
In questa fase le risposte dei genitori, alle domande del figlio, oltre che sincere devono essere rassicuranti. In queste risposte ognuno può introdurre le proprie credenze religiose o le proprie riflessioni spirituali. È fondamentale, in ogni caso, essere coerenti.
Quello che il bambino coglie non è tanto il contenuto religioso o filosofico, quanto il tono emotivo: per questo motivo è fondamentale non mentirgli perché questo disorienterebbe il bambino, alimentando le sue fantasie e le sue più angoscianti spiegazioni. In assenza di una delucidazione il bambino potrebbe convincersi di essere in qualche modo colpevole dell’evento, responsabile della morte altrui. La realtà, anche se molto dolorosa, non deve essere nascosta. Questo potrebbe causare un sentimento di scarsa fiducia in voi, avendogli “mentito”, e vi farebbe perdere quel fondamentale ruolo di adulto al quale rivolgersi e dal quale si sente rispettato nonostante la tenerà età”.
La sofferenza del bambino sarà grande, ma avrà il supporto dell’affetto sincero dei genitori, la convinzione di poter contare sempre su di loro… e non si alimenteranno fantasmi e domande senza risposta, che potrebbero - in caso contrario - tormentarlo a lungo.